Lavoro da diversi anni in agricoltura, sono agronomo, e spesso mi occupo di didattica. Nelle prime docenze i miei allievi erano prevalentemente contadini e da giovane tecnico il primo ostacolo che incontravo era trasferire le conoscenze agronomiche, di chimica agraria, di industrie agrarie, di patologia vegetale a persone che in molti casi non erano mai andati a scuola, stanchi del lavoro nei campi fatto durante il giorno. E si, perché i corsi si svolgevano soprattutto di sera. Si trattava di trovare una modalità, un metodo di insegnamento che consentisse di trasferire delle conoscenze, di catturare l’attenzione di chi ascoltava, in una parola di divulgare informazioni con profitto. E quindi usavo un vocabolario ristretto, frasi brevi, pause, domande agli allievi per creare competitività, inviti a raccontare esperienze personali, materiali da mostrare soffermandosi su esperienze pratiche.senza nulla togliere alla scientificità delle argomentazioni.
Da qui il metodo che ormai utilizzo, con buon successo, da molti anni. L’arrivo alla Niko Romito Formazione risale a un paio di anni fa circa, con l’incarico di occuparmi di olio dalla A alla Z. Cos’è, come si ottiene, come si degusta, come si usa. Il primo pensiero è stato che la scuola avesse fatto una scelta molto intelligente a occuparsi di questa materia, denotando sensibilità. Per un futuro cuoco o un gastronomo, infatti, conoscere l’olio è fondamentale, trattandosi di un importante esaltatore di sapidità, un ingrediente che valorizza il piatto. Il secondo pensiero è stato per lo più una preoccupazione, perchè il tutto era da trattare in 4-5 ore, una scommessa! Come è andata? Bene, al di là di ogni aspettativa. Ho trovato molti ragazzi in gamba, che, superati i primi momenti di diffidenza, si lasciavano trasportare, quasi affascinati da questo mondo da scoprire. Naturalmente il momento clou del corso è sempre rappresentato dalla degustazione, dalle sue modalità, dal suo vocabolario, dalla compilazione della scheda di valutazione che è un po’ l’esame finale. Mi accade spesso, e mi è successo anche qui, che nelle prove di degustazione gli oli maggiormente apprezzati erano poi quelli solitamente usati in casa. Effetto madeleine di Proust, dove un sapore della memoria evoca la tradizione e la produzione artigiana. Anche se, udite udite, nel mondo degli oli non va proprio così. La maggior parte degli oli della nonna non sono più rispondenti ai criteri previsti dalle norme cogenti perché difettati.
I difetti sono il riscaldo, che si manifesta quando le olive sono conservate nei sacchi e non vengono prontamente frante, e l’avvinato quando si sentono al naso sentori di vino e di aceto, tipico di oli ottenuti da impianti tradizionali dopo alcuni giorni dall’inizio attività. Altro olio verso cui i ragazzi manifestavano una certa familiarità e quindi giudizi positivi era quello ottenuto da una varietà spagnola, la “piqual”, dal flavour fenolico o di pipì di gatto. Gli oli ottenuti da questa varietà sono diffusissimi in Italia, nelle mense, autogrill, pizzerie e ristorazione di scarsa qualità per il costo molto basso. Che dire di più, sono soddisfatto, i ragazzi mi seguono volentieri e più volte mi hanno chiesto di tornare per qualche altra lezione, e questo per me è motivo di grande soddisfazione.
Bruno Scaglione