Nascere in una famiglia dove la cucina è il cuore della casa. Dove il territorio stesso in cui si vive è sinonimo di buona cucina. Per Marco Cozzi, classe 1991 di Teramo, dal 2016 chef titolare del ristorante Spoon, sangue e terra sono nel DNA di una passione nata “per sopravvivenza”, come lui stesso riferisce sorridendo.
«Nella mia famiglia si è sempre cucinato tantissimo e bene», racconta Marco. «I miei nonni, sia paterni che materni, erano sempre ai fornelli, o impegnati ad ammassare pane, pasta, pizza… Mangiare da loro era sempre una festa». Il bambino però non sempre può essere affidato ai nonni, e succede che qualche volta resta da solo a casa. «I miei genitori tornavano tardi da lavoro; mia sorella Valentina, più grande di me di 8 anni, studiava fuori, e io a 10 anni mi arrangiavo ai fornelli più che altro per fame. È accaduto che a volte preparassi la cena anche per i miei… ma io preferivo la cucina di mia madre!».
Dagli esami di economia alla scuola di cucina
Marco cresce e si iscrive al liceo scientifico tecnologico, un indirizzo sperimentale che basa la didattica sui laboratori. «Si studiavano molto fisica e chimica, due materie che mi sono tornate molto utili anni dopo, lavorando in cucina», spiega l’ex allievo dell’Accademia.
«Dopo il diploma mi sono iscritto all’università e ho studiato per due anni economia, riportando una buona media di voti agli esami. In realtà sapevo che il percorso di studi che avevo intrapreso non era la mia strada. Mi sarebbe piaciuto molto invece frequentare una scuola di cucina. E così, in maniera del tutto fortuita, vengo a sapere che la Regione Abruzzo aveva finanziato un progetto di alta formazione per cuochi denominato Rest, e che la scuola era quella dello chef Niko Romito. Presi tutte le informazioni possibili e immaginabili, e poi mi iscrissi alle selezioni».
Le selezioni tra freddo e bellezza
Era l’autunno del 2013. «Il primo tentativo andò male», ricorda Marco. «Superai il test scritto, ma non il colloquio. Di quel giorno a Castel di Sangro ricordo lo stupore nel vedere la sede della scuola, bella e molto curata nei dettagli, e il freddo, tanto freddo. Comunque qualche mese dopo mi iscrissi alla selezione del corso successivo, e a gennaio 2014 superai sia il test scritto che il colloquio. Ricordo che mi arrivò una telefonata mentre ero con gli amici a prendere un aperitivo. Durò pochi secondi, il tempo di comunicarmi che a marzo avrei iniziato il corso e che dovevo trovarmi una sistemazione a Castel di Sangro. Non me l’aspettavo. L’aperitivo si trasformò in un brindisi di felicità».
«A Casadonna giorni indimenticabili»
Marco Cozzi viene ammesso al 4° Rest insieme ad altri 15 aspiranti cuochi. «Ricordo tutto di quel corso. Ogni singolo giorno. Sono stati mesi molto belli e tra noi allievi si è creato un gruppo molto affiatato», continua il giovane cuoco. «Tra i momenti che mi sono rimasti più impressi nella mente ci sono la lezione sul miele, con la pratica fatta in tuta tra le api, e il foraging, la raccolta delle erbe spontanee. Ricordo anche bene le lezioni dello chef Davide Mazza, e quelle sulle carni dello chef Claudio Bellavia, che all’epoca era il sous chef di Niko Romito al ristorante Reale. Trovavo molto interessante anche il confronto con la brigata di cucina del Reale. Avendo gli stessi spogliatoi, spesso restavamo a parlare e a fare tante domande sul lavoro e sullo chef Niko Romito. Quei mesi trascorsi a Casadonna restano per me indimenticabili».
Conclusi i sei mesi di lezioni teoriche e pratiche, gli allievi dell’Accademia vengono indirizzati in ristoranti professionali per il tirocinio curricolare. «Per me è stato scelto il ristorante Elodia Relais nel Parco, a L’Aquila, dove ho avuto come tutor la chef Nadia Moscardi, che all’epoca aveva il ristorante in una struttura bellissima con albergo», prosegue Marco. «Per me fu un’esperienza importantissima, che mi mise in contatto diretto con il mondo dei banchetti e dei matrimoni di alto profilo. Grazie a quel tirocinio crebbi molto anche sotto l’aspetto della manualità e dell’organizzazione dei banchetti».
Esame finale con cavoli e verza
Con la famiglia Moscardi l’allievo dell’Accademia è rimasto a lavorare fino al Capodanno del 2014, dopodiché a febbraio 2015 ha dovuto affrontare l’esame finale a Castel di Sangro, esame necessario per il rilascio dell’attestato di cuoco professionista.
«Il tema dell’esame era cavoli e verza», riprende il cuoco teramano. «Il mio piatto era molto semplice: linguine a matassa con estrazione di verza e prosciutto crudo croccante. Già da allora la mia era una cucina semplice, diretta. Non ho mai amato girare troppo sui prodotti, o utilizzare più di tre ingredienti in uno stesso piatto. La commissione ha apprezzato, chef Romito ha suggerito i miglioramenti necessari al piatto e via: sono uscito dalla scuola con il mio diploma di cuoco professionista».
Per i successivi 6-7 mesi, Marco mette a frutto l’esperienza maturata a scuola e durante il tirocinio per creare una piccola brigata di 4 persone che realizza banchetti di qualità per 200/220 persone. Quindi la decisione di aprire un ristorante insieme a un altro allievo dell’Accademia e compagno di brigata: Felice Cioci. «Per un anno e mezzo circa ho fatto sia il cuoco che l’operaio, lavorando nei momenti liberi nei locali del ristorante». Un piccolo gioiello nel centro di Teramo, nell’area pedonale. Venti coperti all’interno e quattro tavoli all’esterno quando il tempo lo permette.
Il nome del ristorante? Nato da una litigata
Il nome Spoon nasce da una telefonata con la sorella, che vive a Londra. «Volevo un aiuto nella scelta del nome del ristorante, perché avevo in testa cinquanta idee ma nessuna mi convinceva. Invece di aiutarmi, lei mi parlava della tendenza che c’è a Londra nel mettere i nomi dei ristoranti in italiano. Poi a un certo punto mi dice: è come se tu in Italia chiamassi il ristorante spoon invece di cucchiaio. A quel punto ho cominciato a pensare: ma io il cucchiaio ce l’ho sempre in mano! Per cucinare, per assaggiare, per mescolare, per impiattare… Insomma, da quella mezza litigata con Valentina è uscito fuori il nome del ristorante».
Un avvio tra tante difficoltà
Gli inizi di Spoon sono davvero difficili. «Nell’agosto 2016 c’è il terremoto di Amatrice che riporta le nostre zone indietro di sette anni, alle paure e ai danni provocati dal terremoto dell’Aquila», comincia ad elencare Marco. «L’anno dopo, nell’inverno del 2017, una nevicata mette in ginocchio tutta la nostra provincia. Teramo sembrava una città bombardata. A febbraio 2018 le cose sembrano tornare alla normalità, ma a fine novembre cade l’amministrazione comunale e saltano anche le iniziative di Natale, che avrebbero ravvivato tutta l’area pedonale. Nel 2019 la nostra strada viene chiusa per tre mesi per la nuova pavimentazione. Poi finalmente una buona notizia: la Guida Michelin segnala il nostro ristorante nella categoria Bib Gourmand. Ristorante pieno fino a marzo 2020, quindi chiudiamo per pandemia. Infine il mio socio Felice decide di intraprendere un’altra strada, e sono rimasto solo. Dallo scorso anno ho dato una nuova forma a Spoon, sospendendo la carta del menu e proponendo due percorsi degustazione, uno da 4 portate e l’altro da 6, che variano di stagione in stagione. Una scelta che mi permette di ridurre gli sprechi e di continuare ad offrire materia prima di qualità lavorate in stile gourmet, ma rimanendo in una fascia di prezzo democratica. Ora le cose stanno andando bene, ma ci vorranno anni per recuperare le perdite economiche causate dalle chiusure forzate».
Tradizione in chiave moderna: la Tiella
A marzo 2021 il ristorante Spoon di Teramo entra nella “Guida ai ristoranti d’autore” di Identità Golose. Nei due percorsi degustazione, la presenza dei vegetali è prevalente, mentre l’offerta della carne è ridotta a due tre piatti. «Solo carne da animali allevati a foraggio e pascolo, anche se forse un giorno eliminerò del tutto l’uso della carne», sottolinea il giovane chef. «La mia filosofia di cucina è legata sì alla tradizione, ma in chiave moderna e fortemente incentrata sulla sostenibilità e sulla ricerca della materia prima».
Non a caso i piatti che più rappresentano il giovane chef sono la Tiella e la Panzanella, ovvero piatti completamente vegetali. «La tiella è un piatto di origine contadina tipico della tradizione Teramana», aggiunge Marco. «L’origine del piatto risale al 1700, quando negli orti della cittadina arrivarono i nuovi ortaggi. La tiella è composta infatti da cinque tipi di ortaggi tagliati e messi in pentola in egual misura: cipolla, melanzane, patate, pomodori e zucchine. Nella mia rivisitazione della ricetta in chiave moderna, partendo sempre dall’equilibrio dei sapori, ho lavorato sul rafforzamento del gusto, con particolare attenzione alle texture degli ingredienti. Una scelta legata anche alla riflessione che sto portando avanti per un ritorno a una cucina sostenibile e legata il più possibile al territorio». Un altro piatto identitario della cucina di Marco è un piatto che si colloca a metà tra la panzanella e il salmorejo, quasi a voler rimarcare le origini di una cultura gastronomica che ha attinto a piene mani anche dalla dominazione spagnola.
Nel futuro di Marco un ristorante agricolo
Il sogno nel cassetto di Marco Cozzi è quello di aprire un ristorante in prossimità di una piccola azienda agricola. Non un agriturismo, ma un ristorante agricolo. Precisamente in contrada Ponticelli, al confine con Montorio al Vomano, dove è cresciuto insieme ai nonni. «Un posto spettacolare», dice senza nascondere l’emozione «in una vallata vicino Teramo dove vedi la Maiella e il Gran Sasso quasi abbracciarsi. In questa contrada vorrei aprire il mio ristorante, utilizzando solo materia prima di mia produzione, o proveniente da piccoli produttori del posto. Niente allevamenti: solo le galline per le uova fresche». Un progetto che Marco conserva nel cuore da diversi anni. «Ne parlai anche al colloquio per entrare nella scuola di Niko Romito. E credo che un ristorante del genere piacerebbe molto anche allo Chef».
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